Il THIGH GAP e i Disturbi Alimentari

Il Thigh Gap, ovvero il desiderio di avere gambe magrissime, che unite non si toccano l’un l’altra, lasciando molto spazio tra loro, è considerato un fenomeno che rientra nell’ampio spettro dei Disurbi del Comportamento Alimentare.

È un comportamento che rivela un rapporto alterato con il proprio corpo e che può essere collocato tra i disturbi dell’immagine corporea.
Questa condizione è considerabile come una forma “moderna” di manifestazione del sintomo anoressico; per il soggetto questo disagio corporeo nasconde la propria radice in problematiche altre che andrebbero ricercate al di là del corpo.

In genere la fascia di età adolescenziale mostra una maggiore predisposizione al rischio di Thigh Gap.

Questo accade perché come tutti ormai sappiamo, in questa fase di vita ci si ritrova a fare i conti con importanti cambiamenti, e con spinte pulsionali che non si sanno interpretare, dalle coordinate confuse.

La ricerca di un punto di tenuta su cui fare perno per dare risposta a questo passaggio si articola attraverso l’ideale di perfezione corporea. Il “buco” è, in questo senso, un buon perno attorno a cui far girare l’impossibile questione del corpo dell’essere umano.

La fascinazione del Thigh Gap, quando colpisce ad età più mature, è legata  o a una crescita mai avvenuta dell’individuo che si ritrova a perseguire la propria identità in un corpo inadeguato all’età o ad un punto di identificazione delle generazioni adulte con un corpo adolescente come tentativo di recuperare un luogo e un tempo perduti.

A livello psicologico dobbiamo tenere conto di più registri che incidono sempre nell’essere umano e che vanno da quello individuale a quello collettivo. In linea generale, e molto in sintesi, potremmo dire che la necessità generalizzata di bucare il corpo (vedi le pratiche di piercing, i tatuaggi), nasce in risposta ad una società che spinge al consumo e al riempimento e che non permette, attraverso il mantenimento di un vuoto produttivo, la circolazione del desiderio.

Puntare a mantenere un controllo sul giusto spazio tra le gambe, essere catturati dal ‘luccichio’ del vuoto (non per niente si parla di un diamante tra le gambe!), avere una fascinazione per quel ‘niente’ rappresentato dal buco prodotto dal contorno del corpo, può simbolizzare la necessità, vitale per il soggetto, di potersi rappresentare attraverso qualcosa di particolare e unico pur nella sua inconsistenza. Peccato che questa risposta si produca sotto un significante seriale e anonimo dominato dalla spinta a catturare un’immagine di sé ideale e impossibile da raggiungere.

Tutti i tentativi di controllo del corpo, di ricerca di una misura perfetta che l’anoressica mette in atto attraverso il calcolo minuzioso delle calorie, il numero perfetto sulla bilancia, la taglia sempre inferiore dei propri pantaloni o lo spazio ancora più ampio da avere tra le cosce, sono modi di arginare, dare un contorno, difendersi, da ciò che non è controllabile, non quantificabile, imprevisto, non garantito e che l’anoressica rifiuta rifiutando il cibo, anestetizzandosi, spingendosi sempre oltre il limite.

I rischi per la salute sono importanti per il fatto che questa operazione sul corpo può in effetti essere un’operazione senza limite. Non c’è mai la giusta misura e il gioco che si fa è sempre al ribasso.

Il problema nei disturbi alimentari è che la spinta pulsionale è senza sosta e, di per sé, non c’è mai un momento giusto per fermarsi. In questi casi si arriva a livelli di gravità in cui è necessario intervenire dall’esterno, a volte anche attraverso un atto clinico importante.

I genitori possono essere i primi ad accorgersi che qualcosa non funziona per il giusto verso, ha superato il limite, e hanno spesso l’ingrato ma necessario compito di intervenire per rivolgersi a qualcuno in grado di aiutarli ad intraprendere un percorso di cura.

I campanelli di allarme che dobbiamo considerare in questo disturbo sono gli stessi che vanno valutati per un inizio di disturbo alimentare: la riduzione dell’alimentazione quotidiana anche attraverso una selezione dei cibi e la scelta di cibi meno calorici; l’incremento dell’esercizio fisico che può presentarsi sia nel moltiplicarsi del numero delle volte che si va in palestra che nella ricerca di un’attività più intensiva; la focalizzazione dell’attenzione per le misure del proprio corpo attraverso il controllo ossessivo del peso sulla bilancia o di alcune parti del corpo allo specchio; il tentativo di evitare momenti conviviali  legati al pasto, soprattutto se in famiglia e la tendenza all’isolamento; l’idealizzazione di modelli fisici esterni e l’aumento di interesse per tutto ciò che è relativo all’immagine.

Desiderare di mantenersi o ritornare in forma non è un peccato né un danno per la salute, ma non comporta una ricerca affannosa e insistente su tutto ciò che abbiamo descritto sopra e che invece è preminente nel disturbo alimentare.

Certamente non tutte le persone che iniziano una dieta o vanno una volta di più in palestra per tonificare il proprio corpo cadono poi nel problema, chi lo fa è perché ha già le basi per farlo.

Ricordiamoci che spesso le ragazze che si mettono a dieta e che poi si avviano verso un sintomo alimentare non hanno in effetti bisogno di dimagrire, ma iniziano a concentrarsi sul peso e sul corpo a partire da congiunture di scatenamento che non hanno niente a che fare con questo.

Nei soggetti che sviluppano un disturbo con l’alimentazione o focalizzano la loro ricerca di perfezione sullo spazio perfetto da avere tra le gambe, il corpo, controllato, martoriato, idealizzato, è il rappresentate di un altro piano di discorso, è un corpo che parla e dice altro da quello che si vede.