PERCHÉ NON CELEBRIAMO IL FIOCCHETTO LILLA – Disturbi Alimentari
Non celebriamo la giornata del fiocchetto lilla.
Non celebriamo la giornata del fiocchetto lilla perché non dividiamo le persone per colore o per presunta patologia, e chiunque svolga un lavoro clinico sa perfettamente che o si ascolta il disturbo o si ascolta l’essere umano che c’è dietro.
Non abbiamo organizzato eventi per il fiocchetto lilla perché si sta rischiando di fare di una causa propria la propria causa, ed è irresponsabile per chiunque si occupi di dolore umano assecondare questa deriva verso un altro, ennesimo, ideale.
Quando una persona di fronte a noi soffrirà di un qualcosa, faremo di tutto perché se ne occupi, ma non gli consiglieremo mai di celebrarlo.
Non celebriamo il fiocchetto lilla perché le giornate si dedicano a delle categorie. L’ultima cosa che vogliamo fare è istituire categorie.
Non festeggiamo perché coloro che soffrono di disturbi alimentari e, se ne facciano una ragione anche i loro terapeuti, hanno bisogno di esistere al di là del sintomo. Nel sintomo, per il sintomo, sul sintomo, grazie al sintomo esistono anche troppo.
Non lo celebriamo perché vediamo com’è finita con gli #eroi.
Non celebriamo il 15 marzo perché alcuni anni fa siamo stati i primi a produrre un documentario sui DCA avendo il rispetto per il dolore. Rispettandolo, appunto, non celebrandolo.
Non celebriamo il 15 marzo perché abbiamo realizzato delle campagne sui comportamenti sbagliati da tenere di fronte un soggetto che soffre di disturbi alimentari. Questo ha contribuito solo a creare una specificità del disturbo alimentare, non ha aggiunto altro che rinsaldare qualcosa di, si direbbe tecnicamente, egosintonico. E ha dato la stura agli operatori per cominciare a snocciolare le pratiche invece di inseguire quelle “corrette”. Gli esseri umani ci piacciono sì “sani”, ma anche divisi, contraddittori e imperfetti.
Non celebriamo il 15 marzo perché non parleremo mai del disturbo alimentare come fosse un virus di cui non lasciar morire le persone, poiché questo significherebbe negare al soggetto qualunque possibilità di ascolto e azione sul sintomo stesso.
Non festeggiamo il 15 marzo perché come vedete non esiste la giornata nazionale della psicosi; esiste quella della salute mentale, cerchiamo piuttosto di capire quanto è diventato un trend.
Quindi parteciperemo con dovere etico, per un atto dovuto, all’inserimento dei disturbi alimentari nei Livelli Essenziali di Assistenza, pur sapendo che, se da un lato questo sbloccherà alcune risorse, dall’altro non possiamo gioire per un incremento delle caselle nosografiche, in quanto ciò contribuisce al naufragio che osserviamo, per il quale si può essere sostenuti, ascoltati solo con una “patente” di malato. Peraltro, non è con dei fondi destinati che diventeremo più capaci di affrontare questi disturbi. Ringraziamo, ma siamo allo stesso punto in cui eravamo, di fronte a qualcuno che soffre.
Forse il problema è che abbiamo bisogno di una targhetta per percepire l’altro? La diagnosi si invoca per poter erogare servizi, per fornire possibilità? Forse sì.
Non ci stupiremmo se un giorno, accanto a un signore anziano che sta attraversando la strada, sentissimo qualcuno chiedergli se è in possesso del certificato di affezione da SiVeDAS (Sindrome del Vecchietto in Difficoltà nell’Attraversare la Strada).
Quindi, in definitiva, non celebriamo il 15 marzo, scusate, siamo troppo occupati dai disturbi alimentari.
Curare è meglio che curare. O prevenire è meglio che prevenire. Vedete voi.