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UN RUOLO NEUTRALE – il lavoro con i genitori

Il ruolo dei genitori e il terzo simbolico

Lacan ci invita a entrare nel gioco d’inganni del linguaggio. Il che significa entrarci con la consapevolezza della situazione in cui incappiamo. Talmente consapevoli da diventare cinici: lo psicoanalista francese usa il termine non-dupe, per intendere colui che rifiuta di farsi ingannare dalle parvenze dell’Altro.

Ma chi rifiuta di addentrarsi nei labirinti del linguaggio è destinato ad andare alla deriva, perché non possiede quella consapevolezza e rimane impigliato nelle maglie della dipendenza dall’amore. Trasformare il modo di vedere il godimento e dunque il sintomo (in senso analitico), è qualcosa che richiede una correzione.

Nasce allora la necessità di comunicare un messaggio in termini diversi, attraverso una comunicazione che vada contro la corrente che si riversa nel nostro quotidiano, del senso comune. La genitorialità, il mestiere più difficile al mondo insieme a pochi altri, come ammetteva candidamente Freud, è una questione di politica. Una politica intesa come posizione. Per capirci meglio, pensiamo a una partita a scacchi: ogni pedina ha le sue caratteristiche, le sue forme, le sue funzioni, i suoi doveri, ma soprattutto ha un modo preordinato in cui muoversi. Ma preordinato da chi?

Potremmo essere convinti in modo fallace, che determinate imposizioni lascino il tempo che trovano, ma la clinica ci dimostra che esse si nutrono degli spazi che abitano, come parassiti. In breve, se oggi si soffre come genitori, come insegnanti, come operatori, come esseri umani, è perché certi concetti non sono stati trascinati via dalla forza dello scorrere del tempo.

L’occhio del materno
William Parcher in A beatiful mind dice: “La convinzione è un lusso che si può permettere solo chi non è coinvolto” e credo che valga come spiegazione dell’intento dei gruppi per i genitori perché è un arcano che prende forma, un indicibile che si fa concreto, non inferibile ma più corposo possibile.

Chiunque si trovi a svolgere un ruolo educativo, deve essere in grado di dissociarsi dal ruolo stesso, rimanendo un passo indietro per collocare le due controparti nello stesso luogo ma con tempi diversi, accettando l’esistenza dei propri limiti, sia come accortezza che come strumento, così da dare vita a curvature che delimitano un’area di intervento. Perché di intervento si tratta.

Letteralmente un’interposizione, uno “stare tra” due elementi e occupare, in termini lacaniani, il posto del simbolico: dunque, essere un terzo tra l’individuo su cui si posa l’intervento educativo e l’esistenza. La paura più gravosa che ciò scaturisce è la controversia che nasce dalla mancanza di controllo, che offusca la visuale. Ecco, infatti, che torna il limite come strumento, come traccia da seguire, come risultante di due vettori che tendono verso un’altra dimensione, a cui bisogna approcciarsi senza aver timore.

Non dipende dai veloci
la corsa,
né dai forti
la guerra,
né dai sapienti
il nutrimento,
né dai più abili
la ricchezza
e neppure dai più sensibili una grazia. 

(Qoelet 9,1)

Oltre la logica
Le logiche del sintomo (sintomato-logiche), abbandonano il proprio status di catalogazione ordinata e si esprimono attraverso forme nuove, mutevoli. Stare dentro i sintomi non è dare loro un nome, costringerli dentro un manuale; è forse riconoscere che anche i genitori, i clinici, o chi per loro, siano dentro un sintomo. E riconoscere questo, permette di fare un passo indietro e raggiungere un panorama più ampio. L’auspicabile sinossi di un nuovo ruolo, un ruolo neutrale.