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CHE COS’È UNA RIUNIONE CLINICA?

Da alcuni anni ci riuniamo regolarmente, ogni due settimane, per quella che definiamo la “riunione clinica” o “riunione d’equipe”.  Da qualche tempo abbiamo voluto aprire anche a chi non è strettamente parte dell’equipe di Heta, condividendo con chiunque lo stesso stile di lavoro.

Recentemente, appunto durante una riunione clinica, ci è capitato di constatare come, in definitiva, tentassimo di fare di qualunque incontro di gruppo ciò che chiamiamo riunione clinica.
Abbiamo notato paralleli perfino con i gruppi di genitori di pazienti, così come con i gruppi di agenti di polizia, di allenatori sportivi, di insegnanti scolastici, di medici. Questo ci può aiutare a definire cosa avvenga in riunione clinica, come in qualsiasi riunione umana che abbia alcune prerogative.

“Curare, educare, psicoanalizzare” sono mestieri impossibili, per dirla con Freud, ma crediamo non si debba dare un’accezione disfattista a questa definizione. Sono impossibili allo sguardo efficientista del buon padre di famiglia, della mammina coscienziosa, di chi è interessato ai cosiddetti fatti, di chi pensa che qualunque azione non abbia un senso e un valore se non portando a risultati misurabili, accumulabili, replicabili. Altri direbbero del capitalista (non noi, troppe implicazioni partitiche da bar).

Sono impossibili perché costituiscono un’azione su una condizione che si affronta senza pretese di superarla una volta per tutte, e la cui riuscita non può che equivalere con la caduta di chi la pratica. Simbolica, s’intende.
“Il nostro è l’unico mestiere in cui meno gente abbiamo più siamo bravi”, ci disse una volta uno psichiatra. Sottoscriviamo.

Lo psicoanalista, l’insegnate, il genitori, lavorano al proprio tramonto, artisti della propria dipartita, mirando a che non ci sia più bisogno di loro. E insomma, diciamolo, prendere il farsi fuori come arte, non è cosa da tutti, bisogna allenarsi, e parecchio.

Dunque qual è il senso di una riunione clinica? Di una supervisione? Di un dibattito? Il lavoro sull’operatore, mai sui soggetti presi in cura. Un lavoro sulla propria pratica, su ciò che la costringe a cortocircuitare, sulle difficoltà e sulle implicazioni soggettive.

Dei gruppi “senza capo”, come diceva Bion, mutuato da Lacan per istituire i cosiddetti cartelli, dei circuiti in cui a vicenda ci si può sondare e affinare, laddove la clinica mette in tensione, di noi, ciò che nemmeno noi vogliamo vedere.

Il lavoro di equipe è appena ripreso, il 19 settembre, e poi ogni due giovedì sera, alle 21.00, sia in presenza che online. Per altre informazioni: [email protected]